[vc_row][vc_column width=”1/1″][vc_column_text]Sabato 16 aprile 2011 altra uscita sul gruppo del Carega versante vicentino, con partenza dal rifugio Campogrosso (alt. 1443) e risalita nel bacino del Vajo dei Colori e quindi del vajo Bianco.

Vajo Bianco: difficoltà PD+, pendenze fino a 50°, dislivello totale 640 m.

Prima di dividersi nei vari gruppi ripasso teorico dell’assicurazione in cordata: preparazione nodi a otto infilati ai capi della corda per il primo e l’ultimo di cordata, mentre il secondo ed eventualmente il terzo (su una cordata di 4 elementi) si assicurano, per escursioni su ghiacciaio, con un nodo a otto con asola di circa 30 cm (legata ad un moschettone tramite barcaiolo) per permettere una maggiore libertà d’azione e riuscire a svincolarsi in caso di necessità di effettuare manovre di recupero; quando non si è in ghiacciaio é invece sufficiente un semplice barcaiolo legato al moschettone collegato all’imbracatura. Il primo e/o l’ultimo (se capace di effettuare manovre) trasportano il resto della corda sulle spalle ad anelli, bloccati con un nodo inglese e quindi assicurata ad un moschettone tramite un barcaiolo. Ripasso anche della preparazione del cordino da ghiaccio, meglio detto il “mostro”, che trovo ancora indescrivibile; il cordino viene collegato alla corda tramite prusik, serve a effettuare un ancoraggio con la piccozza in caso di caduta del compagno.

Abbiamo quindi cominciato la salita vera e propria, ripetendo lungo la strada le tecniche di progressione e di autoarresto con piccozza e con bastoncini. Dopo pochi minuti il CAI ci ha addirittura organizzato una dimostrazione di soccorso alpino con elicottero, troppo buoni..

Arrivati alle pendici del canalone ci siamo legati in cordata con conserva corta (circa 5 metri tra ogni componente) e siamo risaliti con i ramponi (progressione punte avanti o punte a piatto), stando attenti a mantenere la corda tesa e a valle, tenendo in mano il capo a valle. Il capocordata si pone sempre al primo posto in salita e all’ultimo in discesa.

Lungo la salita abbiamo effettuato delle soste, autoassicurandoci alla piccozza piantata nella neve. Con il cordino della piccozza legata ad un moschettone ci siamo collegati all’anello di servizio dell’imbrago.

Giunti infine in cima al Vajo superando una piccola cornice ci siamo goduti la vista proseguendo poi fino a Bocchetta Fondi (alt. 2040 m), dove Pier ha effettuato una dimostrazione di come calare un compagno spaventato o non in grado di scendere un tratto particolarmente ripido; si pianta la picca in verticale leggermente inclinata verso il lato opposto della discesa del compagno , tenendola giù con un piede, si collega la corda con un mezzo barcaiolo alla piccozza tramite un cordino o una longe preventivamente legata alla piccozza. Il compagno può quindi scendere mentre noi facciamo scorrere la corda in mano; una volta arrivato in fondo si auto assicura alla piccozza con il sistema prima citato,se ci sono altre  persone possono scendere legandosi alla corda con un prusik utilizzato come nodo autobloccante, visto che a questo punto abbiamo tirato una corda fissa. Una volta giunti al termine della discesa, i compagni recuperano il compagno che li ha calati se necessario, altrimenti predispongono un eventuale successiva calata , nel nostro caso abbiamo riavvolto la corda.

La nostra discesa si é svolta inizialmente con i ramponi e in cordata, sempre faccia a valle, e successivamente per maggiore praticità abbiamo proseguito slegati e con gli scarponi. Promemoria: raccolta corda effettuata avvolgendola ad asole aperte, alternate da una parte e dall’altra,chiamata in gergo”a bambolina” e quindi chiuse facendoli alcuni giri orizzontali attorno . Volendo si possono creare delle bretelle per trasportare la corda come uno zaino.

Alla fine della discesa abbiamo rivisto gli ancoraggi con piccozze (piantata in verticale e legata tramite “orecchiette” del cordino se neve di buona consistenza o in orizzontale con un barcaiolo se neve farinosa)/corpo morto e con due ancoraggi abbiamo creato una sosta mobile, legando i cordini degli ancoraggi ad altri cordini tramite moschettoni per prolungarli e quindi tra di loro, dopo aver fatto il solito mezzo giro di sicurezza; la sosta può essere trasformata in semimobile aggiungendo due nodi standard (=groppi) sui rami di cordino che si collegano agli ancoraggi. Questo accorgimento può essere utile se riteniamo che uno dei due ancoraggi non sia sufficientemente sicuro e quindi con questo sistema andiamo a ridurre lo strappo che colpisce il ramo di collegamento ad un ancoraggio, qualora l’altro si dovesse togliere o rompere. Leo ci ha dimostrato la tenuta degli ancoraggi buttandosi verso il basso mentre Nicola  aveva predisposto una sosta bilanciata dal peso del proprio corpo e facendo sicura dall’imbrago con un mezzo barcaiolo.

Ormai mancava solo l’ultimo tratto di strada fino all’agognata birra con aneddoti di alpinismo eroico (grazie Gianni) davanti ad un bicchiere e alla notevole fauna del rif. Campogrosso. Dedichiamo un pensiero commosso a chi si é fatto qualche km all’indietro per recuperare un casco e anche a chi si é piccozzato via un pezzo di naso, prima (e speriamo ultima) vittima del corso![/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/1″][dt_gap height=”10″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/1″][vc_single_image image=”76″ border_color=”grey” img_link_target=”_self” img_size=”large”][/vc_column][/vc_row]